La Pietà di Michelangelo ed il Cristo Velato di Sanmartino sono due capolavori che pur essendo realizzati in periodi storici diversi rappresentano esempi di sculture che affondano le radici in una visione arcaica con molteplici elementi sapienziali in comune.  Entrambi gli scultori appartennero a scuole iniziatiche di tipo corporativistico di massimo livello, entrambi furono due grandi conoscitori dell’anatomia umana/spirituale e l’opera del Buonarroti influenzò notevolmente l’Autore del Cristo Velato. 

Michelangelo dipinse la Pietà a poco più di vent’anni ma al tempo aveva già profonde conoscenze. Si applicò fin da bambino allo studio di testi classici e in Vitruvio apprese che l’uomo è il più alto esempio di unità e di equilibrio e il corpo umano è la più alta creazione di Dio. La sua predilezione per il nudo maschile derivò da un fattore filosofico e l’esaltazione ellenico-platonica del corpo umano fu un importante elemento per il ritorno dell’antico. Eseguì per esempio il Cristo risorto come un Apollo nudo e il Laocoonte di Apollonio di Atene fu per Lui la massima espansione di perfezione come anche il busto Belvedere. Credeva che il nudo dell’uomo come la nuda pietra rappresentassero pura “Intelligenza” perfetta senza bisogno di orpelli decorativi.  Apprese da Marsilio Ficino che il corpo è infuso di luce, quindi l’uomo come la pietra è materia e spirito e il vero scultore è colui che ha le divine proporzioni negli occhi.  L’idea del platonismo che più ispirò Michelangelo fu che dentro la roccia come nell’uomo c’è una latente immagine in attesa di essere scoperta posta in atto dallo scultore “in concetto”. Il mondo ultraterreno crea una forma dentro la materia e il vero artista riesce a penetrare la vera sagoma preordinata al di fuori del tempo attraverso l’Intelligenza, quindi l’immagine prefigurata nella pietra viene considerata come evidente  già prima di essere liberata dalla sua marmorea prigione.  La funzione dell’artista dunque era quella di adeguare “materia” e “concetto” e lo sforzo di tradurre in opera un “concetto” attraeva Michelangelo più che la rifinitura pratica che spesso lasciava ai suoi allievi, limitandosi ad impostare i disegni preparatori.

 L’aspetto concettuale quindi è eterno, pertanto non solo la forma archetipica durerà per sempre nell’empireo ma persisterà anche la forma derivata che, come imitazione della prima, si fa partecipe della sua immortale natura.

  La conseguenza è che già nella cava di marmo l’occhio di “chi vede” riesce a scorgere l’opera in potenza e Michelangelo amava segnare blocchi di marmo per distinguerli dagli altri che non avevano spirito. La scultura quindi fu per Michelangelo una forma di servizio a Dio e trait d’union tra gli ideali morali del cristianesimo e le perfette forme del mondo classico. 

La Pietà è l’unica opera terminata e firmata da Michelangelo che non amava finire le sue sculture per meglio proteggere questo “concetto” e non disvelarlo in quanto mistero. 

Mettendo in comparazione le due opere, quel che salta all’occhio è che entrambe sono dedicate alla pietà poiché anche la Cappella San Severo è chiamata Santa Maria della Pietà o Pietatella, che in entrambe il Cristo è gracile e delicato e che uno ha il velo e l’altro no. Questo è un requisito che differisce dalle usuali sculture maschili scolpite da Michelangelo il quale si servì di corpi virili anche per raffigurare membra femminee come per esempio le Sibille. Nella Pietà invece il corpo del Cristo è di un uomo che non ha nulla di virile e questo dettaglio è piuttosto rilevante. 

Michelangelo amava i contrasti: lei è più giovane di lui e rappresenta l’opposizione del movimento alla stasi, il profano divenire rispetto la cristallizzazione del dogma. Lei è il tutto: roccia sulla quale è seduta divenendo un unicum con essa e movimento spirituale allo stesso tempo. L’opera quindi è la raffigurazione delle due polarità: vita e morte. 

 

Il Cristo di Michelangelo non ha il velo al contrario del Cristo velato. 

Scheda tecnica:

Opera: Pietà 

Autore: Michelangelo Buonarroti.

 Gruppo in marmo polito alt. M. 1,74, larg. della base m. 1,95. 

Anno: 1498/99 commissionata dal Cardinale francese Jean Bilherès de Laugraulas presso la corte del papa Alessandro VI. 

Collocazione originaria: Roma, Cappella di Santa Petronilla dell’antica Basilica Costantiniana.

Collocazione attuale: Città del Vaticano, Basilica  San Pietro.

Opera: Cristo Velato 

Autore: Giuseppe Sanmartino

Anno: 1753

Marmo: 80x80x50 cm.

Collocazione  Napoli, Piazza San Domenico Maggiore. Museo Cappella San Severo. 

Fig 1. Matrimonio mistico

Il velo è come uno specchio di luce che si riflette, ma il dietro dello stesso è nero e analogo a una camera oscura che assorbe la luce dell’immagine riflessa, la rielabora per far rinascere una nuova immagine. 

 Il Cristo Velato irradia luminosità dall’interno in un gioco di specchio con il suo velo, come se la sua luce molto intensa rimanesse potenziale, la Pietà invece con il suo marmo levigato è abbacinante: è la luce che si riflette dalla pietra nel cui interno crea e riproduce l’immagine. Il Cristo Velato è quindi un “lume perpetuo”, una perenne luce non esplosa, come le lampade perenni che di solito ardevano presso le statue d’Atena o di Venere e che rappresentavano il fuoco spirituale che non si estingue mai. 

Indossare il velo significa bagnarsi dello Spirito Santo come nell’antichità classica dove attraverso il velo si riproduceva “il movimento immobile”. La Madonna della Pietà di Michelangelo si muove pur essendo roccia. Il velo quindi è lo svelamento come rivelazione della luce che rende immortali fuori e dentro di noi. E’ uno specchio che rifrange la nostra interiorità ma per capire chi siamo bisogna andare oltre, nell’oscurità (camera oscura), dove la luce che abbiamo riflesso ha generato la vera immagine: il nostro lumen perpetua. 

Il velo quindi è il “movimento immobile” che segue gli stessi principi del “tutto scorre” e che con le stesse leggi risorgerà dalla roccia. Il simbolo è il cerchio presente nella corona di spine ai piedi del Cristo Velato, i tre chiodi di ferro due dei quali sono incrociati in segno di unione e poi un paio di tenaglie il cui significato è tagliare ma anche concepire. Questi elementi sono importanti simbologie legate alle fasi alchemiche della rinascita. 

L’immagine riflessa rappresenta le nozze sacre tra l’incarnato e lo spirito di luce. Questo significa che il Cristo Velato è bello come Iside o Venere perché ha lo Spirito divino del femminino sacro in sé e a guardarlo bene è molto femmineo. 

In greco la parola velo ha la stessa origine della coppa dell’involucro, del bocciolo di rosa e del graal, ecco perché il Cristo velato è molto gracile quasi femmineo, poiché è lo spirito dentro la coppa che lo contiene  e il dettaglio che disvela questa affermazione è la piega del risvolto del velo che lo avvolge che lascia intravedere un’altra presenza dissimulata: un orlo ricamato come i veli usualmente  decorati per la dea della Sapienza.  Quindi Lei è la parte segreta e l’essenza di Lui, l’unica mediatrice ed è per questo motivo che il Cristo è delicatamente bello. Sappiamo che dove ora sorge la Cappella San Severo è da sempre luogo mistico e di pellegrinaggi verso il culto della Grande Madre, non dimentichiamo che fu in origine un tempio dedicato a Iside. 

Guardando con attenzione gli aspetti nascosti dell’opera di Michelangelo, in prossimità del petto e del cuore della Madonna sono nascoste due figure: un uomo ed una donna. (fig. n. 1) 

L’uomo ha la barba ed ha il capo velato in veste sacerdotale e di autorità, all’interno della stessa barba che ha forma di cuore c’è una figura femminile anch’essa con il velo. Considerato quindi che il Cristo è più grande della Madre è molto probabile che le due figure scolpite non fossero madre e figlio ma piuttosto una coppia di sposi. Entrambe sono figure autorevoli per via del velo (simbolo di autorità temporale e spirituale).

Come nel Cristo Velato anche la coppia di sposi nella Pietà ricrea l’unione mistica delle nozze sacre e quindi il ricomporre la materia e il suo “concetto” nel blocco di marmo. Entrambi gli sposi riconoscono la Pietas romana ovvero, la divinità preposta al compimento del proprio dovere nei confronti dello Stato, della divinità e della famiglia. 

Nella Pietà di Michelangelo, nel punto in cui l’albero è tagliato e non spezzato, in quanto il taglio è netto voluto da mano umana simboleggiando un assassinio, germoglierà una nuova vita. (fig. n 2) 

La pietas della Madre che è il dovere nel compimento del portare avanti i principi e la giustizia, tutto riassorbe (morte) e tutto riemana (vita), ne deriva che la tomba di Lui è anche sua Madre che lo tiene in braccio e lo riaccoglie ma è anche colei che lo farà rinascere e lo stesso “piccolo re” rinato diventerà una madre vera e propria perché in lui ci sarà sempre Lei in quanto l’oro della sua semenza rinascerà sempre. 

La Pietà che riflette apparente tristezza e compassione in realtà è la rinascita AMOR, il dovere ad assolvere principi di vita, il nome segreto di Roma: “senza morte” che non crede alla fine e questo è un messaggio, una summa delle conoscenze rinascimentali. E’ l’inno alla vita del grande Michelangelo che con colpi di scalpello annullerà il proprio ego, tanto da divenire esso stesso l’Anima segreta della pietra e quindi dell’eternità. 

Giuliana Poli

Giornalista e scrittrice. Coordinatrice di progetti editoriali e di progetti speciali per la Società Dante Alighieri.
Membro permanente del progetto di analisi e sviluppo, per progetti sulle nuove tecnologie, per la certificazione di opere d’arte, con tecnologia blockchain. Membro del Comitato scientifico del Progetto Seven Art della Seven Business srl, per la vendita di opere d’arte fisiche e digitali. Collaborazione, analisi e sviluppo di progetti per tokenizzazione di opere d’arte e creazione di NFT. Ideatrice e responsabile della Rubrica “Decriptazione delle opere d’arte”.