Il Museo Nazionale del Bargello è luogo dantesco per eccellenza a Firenze. Nella Sala dell’Udienza dell’allora Palazzo del Podestà (oggi Salone di Donatello), il 10 marzo 1302, il sommo poeta venne condannato all’esilio definitivo; nell’attigua Cappella del Podestà, solo pochi anni dopo (tra il 1333 e il 1337), Giotto, con la sua scuola, dipingeva il suo ultimo capolavoro pittorico, ancora poco noto al grande pubblico e ritraeva per la prima volta, il volto di Dante, includendolo tra le schiere degli eletti nel Paradiso. La prima effigie conosciuta del padre della lingua italiana permetterà a Firenze, di riappropriarsi dell’opera e della figura di Dante. 

L’aspetto interessante è che attraverso la decriptazione del ritratto del Poeta toscano da parte di Giotto sono emerse delle immagini nascoste, che potrebbero essere un antesignano del cubismo, già nel 1300. Queste immagini abbattono ogni forma di contrapposizione tra l’arte classica che da Giotto a Masaccio va fino all’arte moderna e che dalla metà dell’ottocento arriva fino i nostri giorni. 

Intorno al 1911, cominciano a delinearsi le pretese intellettuali che permeano il cubismo. Secondo il pensiero di Kant, filosofo che si ritiene basilare per l’espressione cubista, lo spazio e il tempo non sono determinazioni oggettive della realtà a cui la mente si adegua, ma forme (o schemi mentali) che precedono e condizionano ogni nostra percezione del mondo esterno. Lo spazio è il mezzo attraverso cui la psiche struttura le coscienze fenomeniche che provengono dal mondo; esso altro non è che la forma di tutti i fenomeni dei sensi esterni, ossia la condizione soggettiva della sensibilità, sotto la quale soltanto ci è possibile avere l’intuizione esterna. Dalla dottrina kantiana, Schopenhauer desume che qualsiasi oggetto di conoscenza è sempre condizionato e determinato dagli schemi insiti nella mente del soggetto, ciò significa che ogni conoscenza è una costruzione mentale e che tutto ciò che noi sappiamo del mondo è apparenza e illusione. La sua scettica conclusione è che tutte le nostre convinzioni sono soggettive e che l’intero mondo è un insieme di personali rappresentazioni mentali. 

Queste conoscenze dei filosofi moderni, le dottrine segrete ermetiche del  Medioevo le conoscevano perfettamente (anzi i moderni le hanno riprese dal passato), ma non potevano essere esternate e quindi erano nascoste.

Dalle immagini celate di Giotto si evince la presenza nel Medioevo di quegli elementi di rottura e d’innovazione a cui si ispirarono successivamente i cubisti, primo fra tutti Picasso, grande conoscitore dell’arte classica e antica.

 In generale, i principi che rendono bello un quadro cubista prendono spunto da Giotto prima e poi e dall’arte rinascimentale e i principi che rendono imperfetta l’arte classica saranno gli stessi che formerà la base dell’arte moderna. L’arte classica che ritorna in auge con Giotto sarà un fuoco positivo, creativo e generativo, mentre l’arte moderna poggerà le sue trame filosofiche su combinazioni con il passato. 

 

Giotto attraverso le sue immagini nascoste, non fa che mettere “pezzi di vita reale” sulla tela, quella realtà spaziale, quindi reale, che sfugge alla costruzione della mente della immagine, che è illusione.

Giuliana Poli

Giornalista e scrittrice. Coordinatrice di progetti editoriali e di progetti speciali per la Società Dante Alighieri.
Membro permanente del progetto di analisi e sviluppo, per progetti sulle nuove tecnologie, per la certificazione di opere d’arte, con tecnologia blockchain. Membro del Comitato scientifico del Progetto Seven Art della Seven Business srl, per la vendita di opere d’arte fisiche e digitali. Collaborazione, analisi e sviluppo di progetti per tokenizzazione di opere d’arte e creazione di NFT. Ideatrice e responsabile della Rubrica “Decriptazione delle opere d’arte”.